GAY PANIC
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Il testo è ispirato a un fatto realmente accaduto durante la guerra in Iraq.
Un turno di guardia in una torretta di sorveglianza. Daniel, un marine americano. Zaggam, una giovane recluta della rifondata Guardia Nazionale irachena.
Questo accenno di conoscenza, di amicizia e infine di amore fisico diventa suo malgrado tragedia, ma conserva l’ironia e lo stupore possibili solo per una vicenda staccata dalla macchina mediatica e dai suoi bollettini di guerra. Un frammento della guerra che include l’elemento decisivo della sessualità, nonché la sindrome, il “gay panic” appunto, che minaccia il sistema nervoso dell’esercito americano.
Daniel e Zaggam con le loro incertezze e i loro dubbi hanno la missione di ricondurci nello spazio mentale dove “quello che si vede non è quello che è”. Il loro confronto ci offre il privilegio di osservare due individui alle prese con il problema della comunicazione, con la difficoltà di restare umani in un contesto che per ragioni diverse li ha isolati rendendoli sempre più estranei a sé stessi, sempre meno convinti di prendere parte alla Storia.
SKU: | 978-88-96254-19-6 |
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Category: | Teatro |
Anno | 2010 |
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Autore | |
Formato |
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IL CURATO E IL PAGLIACCIO
“Io credo che la normalità sia il male e la follia sia il peggio. Io credo che il diritto di essere diverso sia anche il diritto di essere uguale”.
Queste le parole di Sandro Gindro, psicoanalista di formazione freudiana, compositore e drammaturgo, cui si deve l’autonomo percorso verso Psicoanalisi Contro nonché la fondazione dell’Istituto Psicoanalistico per le Ricerche Sociali.
Dalla drammaturgia emerge un unico personaggio: il curato che si dibatte tra le due sue anime: quella del prete e quella del pagliaccio.
La questione è credere o no nell’esistenza di Dio. Ma una volta ucciso il pagliaccio, l’unico che sapeva ringraziare e per il quale valeva la pena che fosse stato creato il sole, il mare, gli alberi, il solo che sapeva goderne, “che farà Dio ”, si chiede il prete.
Ammettendone così l’esistenza. Come pure la ammette il ragazzo non vedente, che ne canta una dimostrazione, ispirata alla prova ontologica di Sant’Anselmo da Aosta. -
Falsi e Sciocchi pregiudizi (commedia in un atto)
Questa piccola commedia di un atto è nata in occasione delle recite dell’anno scolastico tenute dagli alunni della classe III sez.B del Liceo Classico di Cassano All’Jonio. Il risultato ottenuto propone lo squarcio di uno spaccato di mondo paesano con i morsi della disoccupazione, dell’emigrazione, dei beceri pregiudizi razziali, del contrasto tra mondo giovanile e adicate convinzioni degli adulti, del tenace attaccamento alla “roba” del rozzo “massaro”.
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WAKEFIELD, L’UOMO CHE VOLÒ OLTRE SE STESSO
“Wakefield” è una novella di Hawthorne che narra di un uomo determinato a guardare la propria vita dal di fuori.
Per farlo, il protagonista abbandona la famiglia prendendo alloggio nella stanza di una pensione che fronteggia la casa da cui è venuto via, e qui rimane per una ventina d’anni sino al giorno in cui decide di riattraversare la strada e ritornare dalla moglie (ormai spenta da una vedovanza ritenuta certa) con l’intenzione di riavviare il ménage di un tempo come se nulla fosse accaduto.
Da qui si parte per un viaggio che, attraversando Poe e Melville, giunge imprevedutamente alle Olimpiadi messicane del ’68 per raccontare una prodigiosa impresa sportiva…
… per raccontarla dal di dentro, quasi in presa diretta…
… e per raccontare qualcosa da molti dimenticata.
O forse mai saputa. -
CHEZ SERAFINA
Contessa di CagliostroParigi. Fine settecento. Mancano pochissimi anni alla Rivoluzione Francese. Un salotto: una singolare padrona di casa e un gruppo di ospiti altrettanto particolari:
siamo al volgere del razionalismo secolo dei Lumi, Serafina, emulando il marito, il famoso Conte di Cagliostro, ha fondato una “sua” loggia massonica femminile di rito egizio. Le fa da aiutante e cerimoniere un personaggio inquietante, ironico e malinconico, nè uomo nè donna ma forse sintesi di entrambi i sessi, che accoglie le visitatrici e le aiuta nel viaggio di iniziazione… -
L’ARGOT… NOSTRO CONTEMPORANEO
Sono ormai diversi anni che mi occupo principalmente di drammaturgia contemporanea ed in particolare di quella italiana. Ho visto crescere decine di autori, oggi più o meno affermati, ma certamente “autori”; con loro ho stabilito rapporti di lavoro e più spesso questi rapporti si sono trasformati in amicizia. Scegliere di lavorare in particolare con i “giovani” ha significato in qualche caso crescere insieme. I rapporti sono a volte conflittuali ma sempre e comunque il confronto con l’autore è risultato molto fecondo. La possibilità di confrontarsi con più autori ha dato vita alla creazione di un vero e proprio laboratorio, “factory” come la definiscono gli anglosassoni, in continuo movimento ed alla ricerca di nuove forme espressive di scrittura e di un linguaggio comprensibile per il pubblico del nostro tempo. Un luogo dove gli autori, i registi, gli attori potessero elaborare e condividere il primo momento del fare teatro che è la scrittura di un testo. (…) Credo molto in questo metodo di lavoro, nello scambio continuo di informazioni, nel rispetto dei ruoli e nella assoluta consapevolezza che ogni partecipante alla messa in scena deve essere coinvolto nell’allestimento in modo responsabile. Ritengo che questo “lavorare” intorno al testo sia uno degli ingredienti fondamentali per la riuscita degli spettacoli. L’augurio è che sempre più case-laboratorio nascano per permettere ai giovani autori e non solo, di fare pratica di palcoscenico, perchè è in questo modo che si costruisce una drammaturgia nazionale con una identità e una ricchezza assolutamente indispensabili oggi per un rinnovato rapporto con il pubblico.
Maurizio Panici
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VINO DIVINO
(Ovvero la vera istoria del santo bevitore)Diplomatosi presso il “Centro di avviamento all’espressione” diretto da Orazio Costa a Firenze dove apprende il metodo mimico, segue i corsi del Laboratorio Nove sempre a Firenze, prosegue gli studi presso il Centro di Sperimentazione di Pontedera. Nel 1991 fonda la Compagnia Occupazioni Farsesche e si occupa della conduzione dei teatri di Scandicci, Pieve Santo Stefano, e Barberino del Mugello. Partecipa al primo allestimento del “Sogno di una notte di mezz’estate” per la regia di Glauco Mauri. Nel 1992 lavora con la Compagnia dell’Uovo di L’Aquila. Nel 1995 collabora con l’Università di Cincinnaty per la quale realizza lo spettacolo “Festino del Martedì Grasso” di cui è autore ed interprete sotto la regia di Malcom Fraser. Nel 1996 fonda, con Maurizio Annesi e Cristina Caldani, il Teatro San Leonardo di Viterbo con il quale partecipa alla realizzazione di numerosi spettacoli tra i quali “Harry’s Light” di cui è autore e regista, “Bella e la bestia” di cui è autore, si occupa della regia degli spettacoli “Remember my rame is Will” dai sonetti di Shakespeare, “La purga di Bebè” di Feydeau. Nel 1997 partecipa allo spettacolo “L’avaro di Plauto” di Lerici. Nel 2000 è protagonista dello spettacolo “L’asino d’oro” da Apuleio a fianco di Orso Maria Guerrini. Nel 2002 è Mercurio nello spettacolo Anfitrione di Plauto con Stefano Masciarelli. Nel 2003 lavora a diversi spettacoli tra i quali, “Morte di Galeazzo Ciano” di Enzo Siciliano, “La Tempesta” di Shakespeare, “Trapped” di Piermaria Cecchini. Da tre amni dirige il laboratorio permanente “Lo spettacolo possibile” a Viterbo.
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Passio
PASSIO è una sacra rappresentazione, rifacimento di Mistero su modelli di devozione popolare di ispirazione vagamente medioevale. Essa accoglie nel suo seno vari frammenti ed atmosfere tratte dal patrimonio delle tradizioni e dell’espressività popolare intorno ai riti penitenziali della Settimana Santa, dai contrasti alle danze macabre dei “Trionfi della Morte”, dai canti processionali alle azioni drammatiche intorno al processo a Cristo ed alla Via Crucis.
PASSIO è una sorta di viaggio nella memoria devozionale di un Popolo che, celebrando la passione e la morte della Verità Incarnata, del “Dio che si fa uomo” per salvare quest’ultimo dall’antica colpa del peccato originale, riesce, con la pietà che gli è propria, a commuoversi e a partecipare emotivamente, fino a fare proprio il dramma ed il dolore della Madre di fronte allo scempio del Figlio, di fronte allo strazio della “carne delle proprie carni”. Vivendo la rievocazione dell’evento e partecipando a questa “comunione di dolore”, si celebra così un vero e proprio rito di penitenza.
Volutamente si è cercato di utilizzare una lingua inventata, una sorta di “calabrese epico”, un linguaggio cioè che non appartiene a nessun luogo in particolare, in quanto solo un linguaggio che travalica gli angusti confini dello spazio può essere adeguato per celebrare un Mistero che va al di là del tempo.
Proprio per tutto questo, al di là dell’aspetto della mera spettacolarità, PASSIO vuole porsi come profondo momento di riflessione, penitenza e preghiera. -
Cvijeta Zuzorić (quasi una fantasia)
Nel dramma di Matko Srsen il vuoto, l’atto della lettura impossibile di qualcosa scritto da Cvijeta, incontra l’ipotesi di una scrittura possibile di Cvijeta, indicatori che favoriscono l’attivazione della reazione libro/lettore diventando indispensabili per l’incontra. E l’incontro fra Mara e Cviieta, nell’opera di Srsen, avviene nell’altro mondo, in una sala che rieccheggia di vuoto della villa Gozze di Trsteno. Il vuoto di Srsen è contrapposto ai dialoghi di Gozze in cui le due amiche filosofavano presso un ruscelletto, tra profumi della natura che facevano da cornice naturale a ‘due fiori’ del gentil sesso. Nella visio drammaturgica di Srsen le due amiche non sono più creature ospitate da un giardino che partecipano al fluire misterioso della vita, bensì due entità puramente spirituali, svuotate dal loro essere fisico, che dialogano su quanto nella loro vita reale, e nella storia in cui si inscrivono le loro biografie, è rimasto sottaciuto, colmabile unicamente con l’immaginazione artistica.
Come un’avversaria furiosa, giunta alla resa dei conti all’inferno, Mara conduce Cvijeta a dialogare sul non detto, rivela a Cvijeta l’enigma del suoi scritti ragusei e del manoscritto Orfeo, un dramma che essa brucia nella vita ultraterrena come avrebbe fatto in quella terrena, avvelena sé e l’amica con la cena, e loro muoiono intonando un madrigale e tenendosi per mano, per rimanere immortalate nel loro amore per un’altra volta ancora. Così anche la morte fisica trova il suo doppio, nella morte metafisica, in uno stesso spazio che è quello dell’Incontro nel Canto in cui si fondono la natura e l’anima delle due donne-entità.Suzana Glavas