Matko Srsen, nato nel 1947 a Dubrovnik in Croazia, è poeta, drammaturgo e regista teatrale. Ha compiuto gli studi a Zagabria presso la Facoltà di Lettere e Filosofia e presso l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica e Cinematografica. Attualmente è professore ordinario della Regia del patrimonio teatrale nazionale presso la Cattedra di Regia del patrimonio teatrale nazionale dell’Accademia Nazionale di Arte Drammatica a Zagabria. Nel 1985 è stato insignito del premio “Prvomajska nagrada” per la miglior regia e drammatizzazione teatrale dei Fratelli Karamazov di F.M. Dostojevskij in Croazia. Per il Festival Teatrale Estivo di Dubrovnik nel 1983 ha messo in scena la prima rappresentazione di Venere i Adone del celebre commediografo rinascimentale croato Marin Drzic/Marino Darsa, e nel 2003 allo stesso Festival è stata rappresentata la sua ricostruzione della perduta commedia del Drzic/Marino Darsa Pomet. Le drammatizzazioni, drammi e commedie di Srsen sono state rappresentate nei teatri in patria e all’estero, come pure trasmesse alla Radio Zagabria e alla Televisione Nazionale Croata.
Pubblica poesie, drammi e narrativa nei giornali e nelle riviste dal 1967.
È rappresentante contemporaneo del metodo di rivisitazione di opere e tematiche del patrimonio letterario nazionale croato, fondato nell’Ottocento da letterati quali Pijerko Sorkocevic, Maro Zlataric Ivano Ivan Mazuranic, nel Novecento allargato e approfondito da studiosi di letteratura quali Piero Budmani, Mibovil Kombol e Frano Cale e, in parficolar modo, da letterati-registi quali Marko Fotez e Branko Gavella.

  • Cvijeta Zuzorić (quasi una fantasia)

    Nel dramma di Matko Srsen il vuoto, l’atto della lettura impossibile di qualcosa scritto da Cvijeta, incontra l’ipotesi di una scrittura possibile di Cvijeta, indicatori che favoriscono l’attivazione della reazione libro/lettore diventando indispensabili per l’incontra. E l’incontro fra Mara e Cviieta, nell’opera di Srsen, avviene nell’altro mondo, in una sala che rieccheggia di vuoto della villa Gozze di Trsteno. Il vuoto di Srsen è contrapposto ai dialoghi di Gozze in cui le due amiche filosofavano presso un ruscelletto, tra profumi della natura che facevano da cornice naturale a ‘due fiori’ del gentil sesso. Nella visio drammaturgica di Srsen le due amiche non sono più creature ospitate da un giardino che partecipano al fluire misterioso della vita, bensì due entità puramente spirituali, svuotate dal loro essere fisico, che dialogano su quanto nella loro vita reale, e nella storia in cui si inscrivono le loro biografie, è rimasto sottaciuto, colmabile unicamente con l’immaginazione artistica.
    Come un’avversaria furiosa, giunta alla resa dei conti all’inferno, Mara conduce Cvijeta a dialogare sul non detto, rivela a Cvijeta l’enigma del suoi scritti ragusei e del manoscritto Orfeo, un dramma che essa brucia nella vita ultraterrena come avrebbe fatto in quella terrena, avvelena sé e l’amica con la cena, e loro muoiono intonando un madrigale e tenendosi per mano, per rimanere immortalate nel loro amore per un’altra volta ancora. Così anche la morte fisica trova il suo doppio, nella morte metafisica, in uno stesso spazio che è quello dell’Incontro nel Canto in cui si fondono la natura e l’anima delle due donne-entità.

    Suzana Glavas

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