Federico Rizzo è un regista cinematografico brindisino di nascita e milanese di adozione che a soli trentotto anni ha realizzato dieci lungometraggi che rientrano in un programmato Decalogo delle giovani vittime. Questo libro autobiografico, corredato da schede critiche, cerca di ripercorrere le fasi di una carriera unica ed esemplare nella storia del cinema indipendente e della controcultura italiana.

  • RIFLESSIONI PANDEMICHE
    Cronache di una guerra contro un nemico invisibile

    Federico Rizzo ci narra la sua personale guerra contro il coronavirus al fianco della moglie infermiera. Ne viene fuori una cronaca partecipe e a tratti esilarante in cerca di una nuova igiene spirituale.
    Resta un senso di incertezza dentro ognuno di noi dovuto all’impossibilità di dominare il tempo. Se non è ancora arrivata la fine del mondo di cui parlava Nostradamus, madre natura ci sta certamente lanciando un ultimo avvertimento, un monito che dovrà far cambiare il nostro modus operandi sulla terra, tanto che il recente pianete scoperto, dove ogni notte piove ferro fuso, altri non è che il riflesso ad anni luce di distanza del nostro nuovo incubo collettivo di un mondo in cui il surriscaldamento globale lascerà posto solo al freddo ferro rovente delle nostre colpe.

    7,00
  • DIARIO INTIMO DI UN COLLEZIONISTA DI MOSTRI

    In questa romanzo il regista e sceneggiatore Federico Rizzo, utilizzando un tragicomico se stesso come alter-ego possibile, ci narra intimamente un anno di avventure nel sottobosco del mondo cinematografico facendoci incontrare sordide umanità figlie della pochezza dei nostri tempi. L’autore usa una narrazione cruda e diretta dialogando coi mostri generati dentro se stesso alla ricerca di una via di fuga verso la bellezza.
    Tornai a casa. Ero salvo nel mio appartamento, il peggio era passato, mi aprii una birra e sorrisi guardandomi come un estraneo nello specchio. Mi richiamò ii direttore della rete entusiasta, disse che ero un pozzo di scienza e che mi invitava nuovamente a illuminare lo schermo. Fui pronto a trovare una scusa del tutto poco credibile. Per fortuna si offese e non mi richiamò mai più. Non si può vivere bene senza mai offendere nessuno.

    7,00
  • IL DECALOGO DELLE GIOVANI VITTIME
    (la mia storia, i miei film)

    Quella per il cinema è, per me, una passione antica che ha radici profonde che accompagna, anzi illumina i miei ricordi più lontani, più indistinti, più sfuggenti; il cinema è diventato subito non solo il mio compagno di giochi ed il mio amico, ma il mio linguaggio ed il mio modo di vedere: allo schermo, al quale mi rivolgevo, conferivo il potere di trasformare i miei sogni, la mia solitudine e la mia ribellione; gli chiedevo di dare grazia, solennità e potenza a tutto quello che sentivo e non sapevo ancora dire. Potrei dichiarare, senza timore, di aver visto tutti i film del mondo, così come si dice all’amata di volerle tutto il bene del mondo; il mio segreto e la mia giustificazione, il senso, cioè, la ragione per cui andare avanti a scoprire.
    Non sono disposto a fare selezioni nè gerarchie, a distinguere il cinema d’arte da quello pedestre, anche se so che vi sono differenze abissali tra film e film; non sono un intellettuale ed amo, indistintamente, tutti i film, per il semplice motivo che sento in essi un appello, l’appello alla mia libertà di percepire ed inventare. Se il cinema precede ogni mia presa di coscienza, se è sempre prima di ciò che la mia ragione discorsiva rende comunicabile e comprensibile, se è come il inconsio all’interno del quale io ritaglio i miei possibili, non voglio escludere alcun film dalla mia memoria che è per l’appunto la memoria di un linguaggio. Sarebbe riduttivo dire che il cinema fa sognare; credo, invece, che il cinema sia, esso stesso, sogno cioè un linguaggio più ricco, più vasto e più generoso, che non si accontenta mai della realtùà, ma ha la potenza di ampliarla ed elevarla e la magia di renderla desiderabile. Io mi lascio condurre per mano nel sogno di tutti i films, senza timore di perdermi, di smarrire la strada maestra, perchè sento che in quel linguaggio c’è sempre di più, c’è come la potenza del canto ed il canto ha la facoltà di rendere unica e sacra l’esperienza del mondo.

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