Tomás Scusceria Muffatti (San Fernando, Buenos Aires, 1953 – Roma) ha diviso la sua opera Non c’è ombra possibile dietro la croce in segmenti in apparenza antitetici: la strada, la casa, il corpo. Nonostante questa tripartizione, si intuisce una fisicità omogenea, singolare, un’anticamera di conflitti che approfondiscono l’introversione e scardinano la parola. La parola offusca e altera la realtà; interpreta, si interpone e, per tanto, cancella l’amorevole gestualità di una madre che scongiurava l’ansietà. Il simbolismo credulo della serenità, che si propagava nella luce sempre accesa sul tavolino da notte dell’infanzia, si è
trasformato in un’arma nell’età adulta delle paure.
Nella cornice di un’antropologia poetica, nella quale il corpo della donna è il miracolo dell’alterità che redime il mondo, il linguaggio verso il silenzio assimila caratteristiche della solitudine sempre più preponderanti, ossia, incarna la dialettica della parola abbandonata in Dio. Ma il silenzio non è amichevole; duole, flagella con la forza della contrapposizione. Quando Dio parla nel temibile dominio dell’angoscia, rivelandosi nel crocevia drammatico del corpo, tutto l’essere forgia una tensione esistenziale, crea uno sfregamento storico nel mondo, apre una breccia onirica nell’immortalità.